Si parla molto di violazione della privacy nelle piattaforme di social network ma ancora troppo poco di altri reati che, invece, sono diffusissimi tra gli utenti online che popolano i vari Facebook, YouTube, i blog ecc.
E dato che si tratta di reati che prevedono anche la reclusione fino a 4 anni, forse vale la pena parlarne un po’.
Prima considerazione piuttosto banale: il fatto che i social network siano ambienti digitali e virtuali non ci pone al di sopra della legge: continuano a valere le stesse leggi del mondo reale!
Il Garante per la protezione dei dati personali ha emanato la Raccomandazione del 26.11.2009 che interviene sull’utilizzo di social network e sui pericoli connessi all’uso.
“Social network: attenzione agli effetti collaterali” Facebook & Co. Come tutelare la propria privacy ai tempi di Facebook, MySpace & Co. Come difendere la propria reputazione, l’ambiente di lavoro, gli amici, la famiglia, da spiacevoli inconvenienti che potrebbero essere causati da un utilizzo incauto o improprio degli strumenti offerti dalle reti sociali? Sono queste alcune delle domande a cui risponde la guida messa a punto dal Garante per la privacy “Social Network: Attenzione agli effetti collaterali”. Non un manuale esaustivo, ma un agile vademecum sia per persone alle prime armi, sia per utenti più esperti, pensato per aiutare chi intende entrare in un social network o chi ne fa già parte a usare in modo consapevole uno strumento così nuovo.
La questione è talmente attuale che i più grandi fornitori di piattaforme di social network (per la precisione 17) tra cui Facebook, Google/YouTube, MySpace, Microsoft e Yahoo! hanno deciso di siglare in Lussemburgo, in occasione della giornata “Safer Internet 2010″, un accordo europeo che contiene una serie di regole volte a migliorare la sicurezza dei minorenni che utilizzano la rete e far fronte comune contro i rischi potenziali a cui sono esposti i più giovani come l’adescamento da parte di adulti, il “bullismo” online e la divulgazione di informazioni personali.
Preliminarmente è opportuno sottolineare che occorre distinguere i comportamenti lesivi in due categorie a seconda della tipologia di reato che si potrebbe commettere:
a) Vi sono i reati commessi da chi sfrutta Facebook o altri social network, le sue caratteristiche, per realizzare i propri intenti illeciti. In questa categoria vi rientrano ad esempio: l’invio di materiale pubblicitario non autorizzato (la c.d. attività di spamming) o la raccolta e l’utilizzo indebito di dati personali, attività espressamente vietate dal T.U. sulla privacy (d.lgs. n. 196 del 2003); l’utilizzo dei contatti per trasmettere volutamente virus informatici, punito dall’art. 615-quinquies c.p.; l’utilizzo dei contatti per acquisire abusivamente codici di accesso per violare sistemi informatici (punito dall’art. 615-quater c.p.), ecc.
b) Chi utilizza Facebook per la funzione tipica del social network, ossia quello di creare contatti tra gli utenti per facilitare la comunicazione e nel far questo, spesso per superficialità, nel comunicare con il proprio gruppo di amici, va oltre commettendo reati penali. Il reato più frequente, che si può verificare in questi casi, è quello di diffamazione.
L’inserimento di frasi offensive, battute pesanti, notizie riservate la cui divulgazione provoca pregiudizi, foto denigratorie o comunque la cui pubblicazione ha ripercussioni negative, anche potenziali, sulla reputazione della persona ritratta possono integrare gli estremi del reato di diffamazione, punito dall’art. 595 c.p.
Tipico esempio noto alla cronaca, la creazione di gruppi ostili ad una determinata persona: “Quelli che odiano il datore di lavoro bastardo”, ecc. E’ evidente come alcune quali “bastardo” o “cretina” hanno una inequivoca carica offensiva, rilevante sotto il profilo penalistico. Al riguardo una recente sentenza[1], che si segnala per essere stata la prima, in Italia, a trattare di uno dei siti di condivisione più popolari al mondo ha stabilito che è tenuto al risarcimento del danno colui che lede la reputazione, l’onore o il decoro di una persona mediante l’invio di un messaggio tramite social network.
Con riferimento alla diffamazione per il tramite dell’uso improprio di foto di terzi, la Cassazione, in un procedimento per diffamazione per pubblicazione di foto in un contesto lesivo della reputazione, ha precisato che il consenso ad essere ritratti non comporta il consenso a utilizzare le foto, soprattutto se tale utilizzo avviene in contesti che espongono il soggetto a lesioni della propria reputazione. Ricordiamo che affinché vi sia diffamazione è necessario: a) la comunicazione con più persone, la giurisprudenza dice che sono sufficienti almeno due persone; quindi non costituisce diffamazione il “pettegolezzo” riferito all’amico tramite messaggio privato, ma solo se pubblicato sulla bacheca, visibile a tutto il gruppo di amici o comunque a due o più persone. In caso contrario, senza la comunicazione con più persone, anche in tempi diversi, non c’è reato. b) l’offesa deve essere rivolta a soggetto determinato o determinabile. Se si parla male di una persona senza far capire di chi si tratta non è reato. Per aversi diffamazione non è necessario mettere nome, cognome, generalità del diffamato: è sufficiente inserire riferimenti che consentano di rendere conoscibile la persona offesa o comunque attribuibile l’offesa ad una persona specifica[2].
Un altro reato che viene spesso commesso (e con una certa disinvoltura) sul Web è quello della sostituzione di persona.
Il reato da contestare in tali casi è disciplinato dall’art. 494 c.p. e prevede una pena fino a un anno di reclusione.
Oggetto della tutela penale,in relazione al delitto preveduto nell’art.494 c.p., è – afferma la Corte di Cassazione – “l’interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d’un determinato destinatario, è stato ritenuto che il legislatore abbia in essi ravvisato una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome”.
La Cassazione, nel 2007[3], ha ritenuto che commette tale reato colui il quale crea un falso account di posta elettronica intrattenendo corrispondenze informatiche con altre persone spacciandosi per una persona diversa. Lo stesso può valere per Facebook o altri social network, per cui si ha sostituzione di persona quando un utente apre una pagina su uno dei social network utilizzando i dati e le immagini relative ad un altro soggetto che ne è all’oscuro.
[1] Tribunale di Monza, Sezione Quarta Civile, del 2 marzo 2010
[2] Avv. Matteo De Luca, pagina Facebook “Reati commessi attraverso Facebook”
[3] Corte di Cassazione – Sezione Quinta Penale, Sentenza 14 dicembre 2007, n.46674
fonte: segnalazionit.org