Goniometri, cerchiometri, ellissometri, curvilinei, scalimetri, pantografi, tiralinee, righelli, squadre, righe a T, compassi. E poi macchine per scrivere, inchiostri, colla, cutter, gomme, carta carbone, letraset…
Prima dell’avvento del pc, prima dei ctrl+c ctrl+v ctrl+x ctrl+z e dell’errore rimediabile in un click, prima dei livelli, delle tavolette grafiche, dei più recenti schermi touch, dei template da scaricare gratis, delle migliaia di font da prendere e installare in un minuto, prima di tutto questo il lavoro del grafico era una lavoro manuale, fatto di dita appiccicose, tagli, sostanze cancerogene, pazienza infinita, cestini della spazzatura che non si faceva in tempo a svuotare che di nuovo si riempivano di bozze scartate, in quantità direttamente proporzionale alle urla e alle bestemmie.
Una dimensione, quella manuale, che il graphic designer ha perso ormai da tempo, tanto che c’è addirittura un museo online interamente dedicato agli strumenti da disegno obsoleti, il nostalgico Museum of Forgotten Art Supplies.
Per mostrare alla nuove generazioni il fascino di pratiche, tecniche e trucchi del mestiere dell’era-Mad Men (nella serie tv però il lavoro dei grafici viene mostrato solo fino a un certo punto) una graphic designer americana, Briar Levit, ha pensato di girare un documentario intitolato Graphic Means, realizzando interviste a vecchi addetti ai lavori, editori, storici, insegnanti per mostrare e spiegare come si faceva grafica prima che i pc monopolizzassero il settore.
La Levit, che fa la designer dagli anni ’90, quando — come racconta lei stessa — «QuarkXpress regnava incontrastato era ancora alla versione 4.0», sta provando a raccogliere fondi su Kickstarter per realizzare il progetto.