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Gli oggetti che hanno fatto la storia del design

Al “Plastic Days” in mostra 600 pezzi, dalla bakelite al Moplen

fondazione plartDalla Fondazione Plart a via Cigna. I pezzi i in mostra al Mef provengono dalla Fondazione «Plart» di Napoli, fra le più prestigiose del mondo, che nel corso degli anni ha messo insieme circa 1800 tra i più significativi oggetti in plastica mai realizzati.

Chissà che cosa proverebbe Charles Goodyear a entrare al Museo Ettore Fico, dove sta per essere inaugurata (aprirà al pubblico sabato) la mostra «Plastic Days». Di sicuro lui, che nel 1839 s’inventò la gomma vulcanizzata, una miscela di lattice vegetale e zolfo, ideale per diventare pneumatico resistente a tutte le temperature, non si sarebbe mai immaginato che da quella alchimia di polimeri sarebbe disceso un intero mondo di oggetti che hanno fatto la storia del costume e del design.  

 

Da Bramieri all’Algol 11  

Si dice plastica e si pensa agli Anni Sessanta, allo spot, anzi alla réclame, di Gino Bramieri che magnifica l’indistruttibilità del Moplen, ai mattoncini assemblabili di Plastic City, ai nanetti in gomma, al mitico Algol 11 rigorosamente aragosta, disegnato dalla coppia Zanuso & Sapper. Sino alle prime posate in plastica e bicolori prodotte da Guzzini, alle sedie di Kartell e ai cactus della torinese Gufram, le «plastic-firm» per definizione. E invece, come spiegano i curatori della mostra (che sino al 21 giugno occuperà un piano del Mef di via Cigna) Cecilia Cecchini, docente di Design alla Sapienza di Roma e Marco Petroni che insegna Accademia Belle Arti di Napoli, «di plastica erano fatti anche i pettinini e i ferma-capelli più raffinati di fine Ottocento». Sono loro gli studiosi che hanno selezionato 600 dei 1800 oggetti raccolti dalla Fondazione «Plart» di Napoli. E ne raccontano gli albori quando al posto della plastica c’era il suo «papà pre-sintetico», in bilico fra imitazione e nuova identità ricavato in «bois durci», «galatite», «nitrato di cellulosa».  

 

Viva la radio  

«Poi arrivò la prima, vera plastica sintetica, la bakelite, una resina a base di fenolo-formaldeide ottenuta nel 1907 dal chimico belga Leo Baekland - continua Cecilia Cecchini - un materiale resistente alle alte temperature, leggero e isolante: ideale per piccoli elettrodomestici come il phon, le radio, le bilance gli stira-cravatte e gli orologi». C’è un periodo in cui la plastica rappresenta la versione povera di materiali più nobili, come per esempio la tartaruga o l’avorio. A questo proposito alla fine dell’Ottocento i titolari di una fabbrica di palle da biliardo di New York misero in palio 10 mila dollari per chi avesse trovato un sostituto del preziosissimo avorio ricavato dalle zanne degli elefanti. Poi arriva il momento in cui la plastica vive di luce propria e si fidanza con il design. Sono i vent’anni che vanno dal 1950 al 1970 e le opere d’arte seriali entrano nelle case degli italiani: insuperate icone che abitano l’immaginario collettivo grazie al tocco di Gae Aulenti, Ettore Sottsass, Marco Zanuso, Antonio Citterio, Ron Arad, Vico Magistretti, e Philippe Starck. 

 

Il Nobel a Giulio Natta  

Oltre ad essere una gioia per gli occhi e un’infinita madeleine, questa mostra rivela particolari della storia della plastica che nessuno si sognerebbe di abbinare a una bacinella. Come il Nobel ad esempio vinto nel 1954 da Giulio Natta, professore del Politecnico di Milano, per aver inventato il «polipropene isolattico», poi commercializzato con il nome Moplen. In pochi mesi, questo materiale indistruttibile diventò uno degli ingredienti base della quotidianità, desiderato da ogni casalinga che guardasse Carosello. 

 

Le plastiche «verdi»  

Come tutte le medaglie anche la plastica ha il suo lato b, quello oscuro. Si chiama inquinamento. E la mostra tiene conto anche di questo aspetto. Dedicando una sezione anche alle «plastiche verdi» ottenute da materie prime che arrivano da fonti rinnovabili.

 

fonte: lastampa.it

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