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Anonymous contro Isis. Facciamo un po’ di chiarezza

AnonymousAncora Anonymous e Isis. L’opposizione è seducente, e i media (soprattutto italiani) in questi giorni sono tornati a parlarne dopo che a inizio gennaio, gli hacktivisti avevano lanciato una campagna contro gli jihadisti. Che in pochi giorni dal suo lancio aveva già fatto sospendere centinaia di account Twitter e che poi è continuata finora.

Perché dunque ora se ne parla di nuovo e in termini tanto drammatici (Anonynmous che spazzerebbe via l’Isis dal web, il tema che conquista il santuario della carta sui quotidiani e via dicendo)? E soprattutto quanto sappiamo delle azioni effettive di Anonymous contro i terroristi islamisti?

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Le prime azioni più visibili di gruppi di Anonymous contro l’Isis risalgono almeno alla scorsa estate quando viene lanciata, da spezzoni di hacktivisti, l’opIceISIS. Questo era il relativo video.

Un secondo filone, più o mento coevo, si raccoglieva dietro la sigla OpISIS e aveva a sua volta un suo video. Le due campagne sono andate avanti un po’ in sordina almeno finché non è accaduta la strage di Charlie Hebdo. Allora è stata lanciata già nei giorni seguenti a Parigi la OpCharlieHebdo, che aveva subito raccolto centinaia di utenti, anche se il numero dei partecipanti è poi in parte scemato. Ovviamente aveva anche il suo video. Che era diverso da un primo filmato diffuso in quei giorni, fatto da un altro gruppo ma che pure aveva fatto il botto di visualizzazioni (ed era piaciuto molto ai media). Tuttavia anche le altre due op (operation, campagna) si sono rivitalizzate da allora, mentre gruppi o singoli anon si muovevano in modo autonomo prendendo di mira i siti dell’Isis. I progressi delle campagne sono stati via via annunciati dagli account delle stesse (ad esempio @opcharliehebdo, @opiceisis, @OpicEiSiS1) o da singoli attivisti. La lista dei profili Twitter segnalati e sospesi si è allungata mano a mano.

Dopodiché il 6 febbraio un altro gruppo di anon rilascia un nuovo video, in cui spiega di aver dato la caccia alle emanazioni online delle reti jihadiste. Il video – che viene ripreso dal sito Mintpressnews, da Inquisitr, e poi dai media italiani (ma non dalla stampa di settore internazionale: forse perché avevano già trattato ampiamente il tema a gennaio?) – fa una precisazione iniziale: spiega che gli attivisti di Anonymous impegnati in questa operazione includono “musulmani, cristiani, hacker, cybercriminali, agenti, spie (sì, spie; nessuno ha commentato questa inclusione nell’elenco, personalmente mi ha lasciato interdetta: conosco anons che al solo sentire la parola avrebbero l’orticaria e che mai la includerebbero in un video. ndr) … impiegati, studenti, ricchi, poveri”. E avvisa l’Isis: “Vi daremo la caccia, manderemo offline i vostri siti, le email, esporremo i vostri dati. Voi sarete trattati come un virus e noi saremo la cura… Perché Internet ci appartiene”. Collegata al video, una pagina online dove è diffuso il bottino digitale degli anon: circa cinquecento profili Twitter di presunti jihadisti o simpatizzanti sospesi dalla piattaforma; una decina di pagine Facebook da tenere sott’occhio; una cinquantina di account email di presunti jihadisti; una decina di siti mandati offline; e vari dati che dovrebbero servire a identificare decine di identità digitali.

D’altra parte, sul pad, la pagina online diffusa da opIceISIS/OpCharlieHebdo (campagne che sono in qualche modo confluite anche se hanno due canali di chat diversi sul network AnonOps, dove si trova anche una meno frequentata opIsis), gli account Twitter jihadisti indicati come sospesi sarebbero circa 900. Facendo un controllo a campione se ne trovano alcuni che non lo sono. Se si incrocia questa lista con quella diffusa dal gruppo del video del 6 febbraio (che, mi dicono alcuni operatori del canale di chat opIceISIS, sarebbe in questi giorni confluito nella loro stessa operazione) alcuni account coincidono.

La stima dei profili Twitter effettivamente sospesi da queste campagne dovrebbe essere quindi tra i 500 e i mille. Insomma un risultato interessante ma non eclatante. Bisogna anche tenere presente lo scenario complessivo: molti account sospesi spesso sono riaperti con piccole differenze nel nome. Complessivamente gli account jihadisti o di simpatizzanti erano, secondo alcune stime, 60mila prima dell’assassinio del giornalista James Foley. Dopo quella data Twitter ha iniziato a chiuderne in quantità solo per violazione dei termini di servizio, ma ancora lo scorso settembre sfioravano i 30mila.

Per quanto riguarda i siti attaccati da Anonymous, opIceISIS/OpCharliHebdo ne segnala una quindicina mandati offline (e che lo sono ancora, come http://mhesne.com). Una decina sono invece quelli indicati dal pad collegato al video del 6 febbraio, alcuni dei quali sono ora online. Come spiegato in precedenza qua, mandare siti offline non è comunque una prerogativa di queste campagne degli anon, che puntano semmai a infiltrarli ottenendo alcuni dati. Infatti nella operazioni che convergono su AnonOps circolano documenti dove sono raccolte istruzioni e kit per infettare utenti sospetti. Ci sono anche molti sottogruppi e crew specifiche come l’HagashTeam.

Ricapitolando. Da settimane, in alcuni casi mesi, vanno avanti varie operazioni di Anonymous contro la presenza online di jihadisti. OpIsis, OpCharlieHebdo, OpIceIsis: in parte sono coordinate in parte si muovono in autonomia. Per ora il risultato principale di queste campagne è stato far chiudere alcune centinaia di profili Twitter di presunti jihadisti. Buttare offline qualche decina di siti. Pubblicare decine di mail di presunti jihadisti (questo come si può intuire è l’aspetto più spinoso della faccenda: quelle mail si riferiscono davvero a terroristi?), o dati personali di presunti hacker jihadisti: ad esempio il nome e altre info di un tunisino che, sostiene l’OpIceISIS, sarebbe il fondatore della crew The Fallaga DZ Team e l’admin di vari siti jihadisti. E di produrre diversi video che hanno smosso, a volte anche troppo, l’immaginazione dei media. La capacità degli anon di sparpagliarsi online, riemergere in diversi account, moltiplicarsi in sigle e insieme dare l’apparenza di un coordinamento, confondere anche un po’ le acque e i media è certamente ancora la loro forza. Perché è su questo piano, quella della comunicazione, che Anonynous, come in fondo anche l’Isis, si muove online.

 

fonte: wired.it

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