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The Great Pacific Garbage Patch, L’Economia Dietro La Più Grande Isola di Rifiuti al Mondo

Chiunque non abbia domiciliato durante le ultime 50 decadi in una caverna, al riparo dalla frenesia della civilità moderna, o si sia rintanato in una confortevole letargia mediatica, avrà sicuramente sentito parlare del Pacific Trash Vortex, meglio conosciuto anche come The Great Pacific Garbage Patch (letteralmente “la grande chiazza di immondizia del Pacifico").

Un enorme ammasso di rifiuti galleggiante – perlopiù composto da residui di materiale plastico – accumulatosi a partire dagli anni cinquanta nell’Oceano Pacifico a causa dell’azione di una particolare corrente oceanica, nota con il nome di “vortice subtropicale del Nord Pacifico” (vedi video).

Per quanto la sua dimensione non sia ancora stata misurata con precisione – come riferito dall’agenzia federale statunitense NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), ad oggi “non esistono misurazioni scientificamente valide per la dimensione o la massa di questa chiazza” – è stato stimato che la Great Pacific Garbage Patch potrebbe estendersi in una regione compresa tra i 700.000 km² ed i 10 milioni di km² – ossia tra un’area simile a quella dell’intera Penisola Iberica ad una più grande degli Stati Uniti.

La provenienza di tali residui è anch’essa rimasta a lungo una questione non documentata – un gap nella letteratura scientifica sul fenomeno a cui Jenna R. Jambeck, ingegnere ambientale alla University of Georgia, ed il suo team di ricercatori hanno recentemente cercato di fornire una spiegazione in uno studio pubblicato su Science Magazine. “Collegando i dati su scala mondiale in materia di rifiuti solidi, densità della popolazione, e status economico – affermano gli studiosi – abbiamo stimato la massa di rifiuti di plastica provenienti dalla terra ferma che si riversano nell’oceano”.

Prendendo sotto esame oltre 190 paesi del globo, i ricercatori capitanati da Jambeck, hanno calcolato che solamente nel 2010 sono stati generati oltre 275 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, delle quali un valore compreso tra le 4,8 e le 12,7 tonnellate sono state riversate nell’oceano. Quanto di più sorprendente sono i risultati relativi ad ogni paese (vedi mappa), dai quali risulta immediato trarre un’importante lezione circa la natura dello sviluppo delle loro economie.

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Il dragone cinese è risultato di gran lunga l’economia ad aver maggiormente contribuito a queste cifre, essendo responsabile per circa un quarto di tutti i rifiuti marini prodotti ogni anno. Il record negativo, diversamente da quanto si sarebbe inclinati a pensare, e come fatto prontamente notare dagli autori dello studio, non sarebbe tuttavia da attribuire al più alto numero di abitanti residenti in Cina. Con una popolazione quattro volte più grande di quella statunitense, la Cina produce infatti 25 volte più rifiuti degli USA.

Come spiegato da Jambeck a Science Magazine, il fattore più importante rimane la maturità di sviluppo dei sistemi di gestione dei rifiuti caratteristici di ogni paese. “Ciò che abbiamo scoperto – spiega l’autrice – è che nei paesi a rapido sviluppo economico [ad esempio Cina ed India] le infrastrutture di gestione dei rifiuti sono uno degli ultimi elementi tenuti in considerazione nel processo. Spesso, queste società affrontano prima questioni gravi, come quella dell’acqua potabile. E quindi, la questione dei rifiuti è lasciata da una parte, e viene affrontata in seguito.”

Ancor più impressionanti sono le proiezioni per i prossimi dieci anni fornite dalla ricerca. Secondo gli autori, l’output di rifiuti plastici prodotti dalla Cina raddoppiera tra il 2010 ed il 2025 (vedi grafico) – un incremento che non ha paragoni con gli altri paesi nelle previsioni fornite da Jambeck.

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L’elemento più controverso della questione è, a detta di Jambeck, che, in un certo senso, la Cina ed altri paesi in rapida espansione “devono” necessariamente essere nella condizione di inquinare. In questo modo, prosegue nella sua argomentazione, lo sviluppo economico è sia la causa sia la soluzione: dal momento in cui la Cina ed altri paesi passeranno dall’altro lato del processo [di sviluppo], le infrastrutture di gestione dei rifiuti recupereranno il ritardo accumulato, riducendo la creazione di rifiuti pro capite a livelli più in linea con quelli degli Stati Uniti ed altri paesi già industrializzati.

 

fonte: smartweek.it

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